“Come un uomo sulla terra”: regia di Andrea Segre, Dagmawi Yemer, Riccardo Biadene – I 2008 – 60`. Con la presenza in sala di Dagmawi Yemer. Di seguito “Un buio perfetto”: regia di Emanuele Vernillo – I 2010 – 10`. Nell`ambito di “IntegrAzione”. Ulteriori informazioni nella pagina interna
“Come un uomo sulla terra”
Dag studiava Giurisprudenza ad Addis Abeba, in Etiopia. A causa della forte repressione politica nel suo paese ha deciso di emigrare. Nell’inverno 2005 ha attraversato via terra il deserto tra Sudan e Libia. In Libia, però, si è imbattuto in una serie di disavventure legate non solo alle violenze dei contrabbandieri che gestiscono il viaggio verso il Mediterraneo, ma anche e soprattutto alle sopraffazioni e alle violenze subite dalla polizia libica, responsabile di indiscriminati arresti e disumane deportazioni.
Sopravvissuto alla trappola Libica, Dag è riuscito ad arrivare via mare in Italia, a Roma, dove ha iniziato a frequentare la scuola di italiano Asinitas Onlus punto di incontro di molti immigrati africani coordinato da Marco Carsetti e da altri operatori e volontari. Qui ha imparato non solo l’italiano ma anche il linguaggio del video-documentario. Così ha deciso di raccogliere le memorie di suoi coetanei sul terribile viaggio attraverso la Libia, e di provare a rompere l’incomprensibile silenzio su quanto sta succedendo nel paese del Colonnello Gheddafi.
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“Un buio perfetto” è la seconda di due pillole video realizzate nel 2010. Le pillole raccolgono insieme i testi scritti durante le lezioni/laboratori di lingua per migranti della ONG CISS di Napoli, letti dalle voci dei partecipanti stessi, e una serie di immagini nate `emozionalmente` dalle sensazioni suscitate dai testi. Non c`è corrispondenza precisa tra le immagini e le parole: il ricordo di una partenza dolorosa evoca l`immagine di una vecchia finestra lasciata aperta, con il vento che fa muovere una tenda; l`abbraccio commosso tra una madre e un figlio ci porta in un paese lontano, con anziani seduti nella vecchia piazza all`imbrunire e bambini e giovani che chiacchierano all`esterno di un bar; la durezza dei primi mesi di vita in Italia ci porta alla quotidiana fatica del lavoro, che accomuna italiani e migranti nella lotta alla sopravvivenza.
Non ci sono volti e facce riconoscibili, così come i testi finali non sono di un partecipante né di un altro. Il testo finale è unico, frutto del lavoro di tutti. L`intento visivo è invece di restituire sensazioni soggettive ma non ascrivibili direttamente alle condizioni di vita dei migranti. È un tentativo nuovo e poetico di raccontare sensazioni nate dalle esperienze di vita di un gruppo ristretto di persone.