Centro per la Cultura
2011-05-11 20:30

La schivata

Mairania 857, Trait d`Union e Fondazione UPAD in collaborazione con la Caritas di Bolzano

Di Abdellatif Bechiche – Francia 2003 – 117`. Introduzione di Christelle Manteaux. Il film fotografa uno spaccato di un sobborgo parigino e ha come protagonisti Lydia, ragazza carina e smaliziata che frequenta un corso di teatro e si muove fra amici e spasimanti, e Krimò, un giovane introverso di origine maghrebina, segretamente innamorato della ragazza. Il regista, prendendo spunto dal “Gioco del caso e dell`amore” di Marivaux che gli studenti devono interpretare, rappresenta un mondo dal quale non si può sfuggire perché ognuno è condizionato dal ceto d`origine. Nell`ambito del ciclo “Sguardi sul mondo. Cinema e intercultura”. Ulteriori informazioni nella pagina interna

La rassegna
Il cinema, da sempre, racconta storie e queste storie ci raccontano il mondo: quello che conosciamo e quello che ignoriamo. E le storie viaggiano con le persone, quelle stesse che oggi, con numeri, problematiche e vissuti impensabili fino a qualche tempo fa, raggiungono la nostra terra e i nostri paesi rendendo il mondo quel villaggio globale descritto ormai da molti analisti.
Dopo il successo lo scorso anno dell’iniziativa “IntegrAzione”, Mairania 857 prosegue in questo progetto e torna a usare il linguaggio cinematografico per parlare di immigrazioni e di nuove culture. Insieme all`associazione Trait d`Union e a Fondazione UPAD di Merano ha costruito un ciclo di proiezioni dal titolo “Sguardi sul mondo. Cinema e intercultura” che si terrà a maggio.
Quattro film che raccontano di Cina e Brasile, ma anche di Italia e Francia e di quelle comunità indiane e del nord Africa che vi si sono trasferite. Il filo rosso delle storie narrate è quello dell`infanzia e dell`adolescenza nel loro tentativo di riscatto, in patria, e nella ridefinizione della propria identità, all`estero.
Ad introdurre di volta in volta la visione e a facilitarne la comprensione, sarà presente una persona originaria degli stessi paesi e delle stesse culture narrate nei film e che ora risiedono e lavorano stabilmente in Alto Adige.

La trama
L`insegnante di Lydia e Krimò allestisce con i suoi allievi una recita scolastica sul testo di Marivaux “Il gioco dell`amore e del caso”, in cui un arlecchino dichiara il suo amore a una damigella. Indiscutibile che la prima donna sia Lydia, grande amore segreto di Abdelkarim, detto Krimò, che farà di tutto per mescolare realtà e finzione arrivando a comprare la parte di arlecchino. Ma Krimò non sa recitare, parla cantilenando con lo sguardo sempre basso, un po` per la vicinanza di Lydia, un po` perché non ha mai aperto un libro in vita sua.
Interessante la scelta degli autori di usare un testo come quello di Marivaux, un racconto dove i servi si travestono da padroni e padroni da servi, un chiaro messaggio sia per noi spettatori, sia per lo stesso Krimò. «Esci da te, compiaciti di come sei!», continua a gridare incessantemente la sua insegnante a quel ragazzo sempre più immobile, imbarazzato, contrito, quasi dispiaciuto di non essere “qualcosa di più”, per non riuscire a musicare il suo linguaggio come la sua Lydia meriterebbe.
Un mondo adulto e responsabile quello dei ragazzi di Kechiche, ripresi nel loro habitat di vera e propria prigionia sociale, uno status che si rispecchia anche nei rapporti umani. Il regista torna a esplorare una Francia decentrata nelle storie di due ragazzi della banlieue parigina, Krimò e Lydia, ed il microcosmo che gira loro intorno, fatto di barriere di cemento, di comunità multietniche, di polizia repressiva e di linguaggi a metà tra lo slang e il rap.
Chiaro esempio di cinema viscerale, il film ben esprime il meticciato culturale della banlieue quasi fosse stata nascosta una macchina da presa volta a riprendere la vita quotidiana di questi ragazzi di periferia, colti nei loro impegni scolastici, extra-scolastici e nelle loro zuffe quasi sempre soltanto verbali. Perché è il linguaggio, spesso anche forte, a farla da padrone nella sceneggiatura di Kechiche e Lacroix, dove fraseggi musicali si sovrappongono a formare un`unica melodia, unico linguaggio di chi non ha altro mezzo per imporre la sua volontà, pur cercandolo forse nell`arte della rappresentazione teatrale, vista come unica e sincera occasione per spaccare le barriere invisibili di quella prigione di cemento in cui sono relegati.